LA FESTA DEI GIUDEI A SAN FRATELLO (MESSINA)
C’è un luogo in Sicilia, dove i capelli sono chiamati “cavei” e non “capidda” e il cavallo è chiamato “cavai” e non “cavaddu”. È San Fratello (o San Frareau nelle indicazioni sulla cartellonistica stradale) in provincia di Messina, dove si parla attualmente il dialetto Galloitalico, frutto di un’immigrazsione dal Nord, che comportò nel XII secolo l’arrivo di lombardi di lingua gallica nell’area siciliana. In quel periodo durante l’opposizione di molti centri siciliani alla colonizzazione normanna, guerrieri venuti dal Nord deportarono molti degli abitanti dei paesi (nell’ennese e nel messinese) e li sostituirono con coloni provenienti dal nord, insediati anche in nuovi borghi: San Fratello fu fondato dalla regina Adelaide degli Aleramici, moglie di Ruggero d’Altavilla. Poichè il multiculturalismo ha una storia antica in Italia, le due popolazioni andarono mischiandosi nei secoli e con esse la lingua, conservandosi integra come secoli fa e costituendo un’isola linguistica lombarda in Sicilia. Nacque così il lombardo-siculo, più correttamente denominato galloitalico siciliano.
Non nuovo a diversità e coesistenze linguistiche ma anche reliigiose ed etnografiche come nel resto della Sicilia, San Fratello, centro agricolo dei Nebrodi, compreso fra i torrenti Furiano ed Inganno e situato a ridosso di una rupe costituente i ruderi del castello di Turiano, vive un momento di particolare risonanza durante la Settimana Santa con la Festa dei Giudei, durante i quali sacro e profano si mischiano come in nessun altro luogo in Sicilia.
Essa inizia all’alba del Mercoledì Santo e termina la sera del Venerdì. Da un lato i devoti cristiani, intenti nelle classiche celebrazioni della Settimana Santa, dall’altro i Giudei, caricatura di chi gioì per la morte di Cristo, festanti giorno e notte per le vie del paese, dando fiato alle loro trombe per disturbare le manifestazioni religiose. Gli Giudei sono uomini di ogni età, che indossano un costume (conservato e custodito accuratamente e gelosamente), secondo la tradizione formato da una giubba rossa con frange, guarnita sulle spalle con decorazioni e ricami con perline, ispirate a motivi sia sacri che profani, e da calzoni di mussola rossa e da strisce di stoffa d’altro colore, solitamente gialle o bianche.
Il pantalone rosso termina con una coda animalesca (spesso di cavallo), retaggio demoniaco e profano, che trova analoghe caratteristiche nei costumi dei Balli dei Diavoli a Prizzi (Palermo). La testa è coperta da una maschera “sbirrijan” (lingua gallo-italica), un cappuccio che si slancia con un lungo cordoncino sino ad assottigliarsi come coda.
Altri elementi rendono l’aspetto piuttosto singolare: pelle lucida con lingua, sopracciglia lunghe e arcuate, scarpe di cuoio grezzo e di stoffa “schierpi d’piau” (in lingua locale). Un mazzo di scroscianti catene a maglie larghe nella mano sinistra, “d’scplina” (in dialetto locale), trombe militari con vari ornamenti finemente intarsiati e ricamati specialmente nella giubba che ricordano le antiche tradizioni della cultura araba. I Giudei vestono quindi panni appariscenti, un singolare elmetto, con qualche pennacchio o croce, e così vestiti gli uomini sanfratellani percorrono le strade del paese.
Nel pomeriggio del venerdì Santo, durante la processione delle varette con i Misteri, i Giudei suonano le trombe per sottolineare la morte di Cristo.
Caratteristica è anche la processione del venerdì mattina del Crocifisso. Mi documento sull’argomento prima di recarmi a San Fratello, chiedendo quali delle due processioni sia più singolare. Quella del venerdì mattina o del pomeriggio? Mi viene risposto che sono diverse e interessanti entrambe, ma nella processione del mattino, oltre ai Giudei che suonano la tromba, ci sono quelli che si arrampicano sui pali, sui muri, fanno delle acrobazie pazzesche e pericolose e fanno la pertica, imitando lo sventolio delle bandiere e strombazzando al passaggio della processione del Cristo morto.
La processione del Crocifisso è solennemente scandita dalla preghiera del parroco e dei fedeli, che seguono il tradizionale schema della Via Crucis con 14 stazioni; durante ogni sosta vengono offerte ceste di pane instantaneamente benedetto al loro contatto con la croce ed immediatamente distribuito tra i presenti. Il fervore dei portatori della statua della Croce è genuino con l’alternarsi continuo tra gli uomini, alcuni a piedi scalzi, e gli Giudei, con molti giovani presenti.
Molti Giudei calzano ai piedi scarpette da tennis, altri sono rimasti legati alla tradizione calzando un paio di cioce in pelle grezza di bue, le cosiddette “schièrpi di pièu”. Tra il corteo in processione sono tanti bambini anche in carozzina, vestiti con i costumi di piccoli Giudei, secondo la tradizione locale.
La parte del cappuccio che scende a ricoprire il viso forma una maschera grottesca: due lunghi e arcuati tratti neri segnano le sopracciglia, un pezzo di pelle o di stoffa, anch’esso nero, rappresenta la lingua che scende penzolando dal disegno della bocca.
Sull’elmetto, sormontato da un uncino associato ad una “lanterna” rosso-blu da carabiniere, sono dipinti motivi tratti dalla simbologia cristiana o da quella popolare, come croci, pesci, cuori, fiori intrecciati, aquile, falci di luna, corni rossi. Così travestiti, i Giudei fanno un baccano indiavolato: corse, salti, sgambetti, prove di equilibrismo, canti, rumore di catene, assordanti squilli di tromba… finché dura la processione. Giunto a Piazza Portella il corteo dà fiato alle trombe in una simbiosi assordante e una volta riportato il Crocifisso in chiesa, tutto rientra nella normalità.
La Festa dei Giudei all’interno della processione del Venerdì Santo costituisce il sopravvivere di una tradizione dove il burlesco o il carnevalesco, o l’irriverenza e la dissacrazione, hanno il sopravvento visivo su un rito religioso. I Giudei simboleggiano la lotta del maligno che tenta di disturbare, senza possibilità, l’avvento del bene. La festa dei Giudei è una rappresentazione spontanea e di antichissima istituzione, la cui origine risale ai tempi medievali, ed è legata alla realtà religiosa della Settimana Santa, divenendo una realtà profondamente sentita e vissuta, difficile da definire. La motivazione sta nel ritrovamento di una identità socio culturale che si tramanda da secoli.